Il Manhattan cocktail come anche il Martini cocktail possono essere considerati un’evoluzione dei vari Whiskey e Gin Cocktail ai quali qualche illuminato barman provò ad aggiungerci il vermouth, una volta che questo si diffuse fino a comparire regolarmente sulle bottigliere dei bar. A tal proposito l’autore dell’anonimo “Cocktails: How to Make Them” (1898) scriveva: “L’aggiunta di vermouth è stato il primo passo verso la miscelazione dei cocktail”. Lo storico della miscelazione David Wondrich nel suo testo “Imbibe”, fonte della nostra ricerca, scrive che il Manhattan Cocktail ha in New York la sua culla d’origine sostenendo che su questo sono quasi tutti d’accordo. Una storia, ripetuta a livello universale sulle origini di questa mistura, racconta che sia stata inventata in occasione di un banchetto organizzato da Jennie Jerome, la madre di Winston Churchill, al Manhattan Club di New York per celebrare l’elezione a governatore di Samuel J. Tilden. Questa teoria, una delle più diffuse fra i miti dei drink, potrebbe reggere, eccetto per il fatto che la sopracitata festa coincida con il parto di Lady Winston e il battesimo del piccolo Winston in Oxfordshire. L’autore di “Imbibe” riporta inoltre una testimonianza di William F. Mulhall, capobarman dell’ Hoffman House dal 1882 fino alla sua chiusura nel 1915, che di seguito citiamo: “Il Manhattan Cocktail è stato inventato da un uomo chiamato Black che gestiva un locale al di sotto di Houston Street a Broadway negli anni Sessanta”. A supportare questa tesi ci vengono in aiuto i registri del comune di New York degli anni Sessanta del 1800 che confermano la gestione di un locale da parte di un certo William Black sulla Bowery, anche se al di sopra della Houston, non sotto. D’altro canto, anche il Manhattan Club rivendica la paternità del drink con altrettante prove a suo favore. Un bartender del Boston, intervistato nel 1889, affermava che “Il cocktail Manhattan è stato ideato da un barman del Manhattan Club a New York”, questo 33 anni prima che le memorie di Mulhall venissero pubblicate. Questa dichiarazione trova corrispondenza nelle pagine del New York Times nel 1902 quando “Bobbie”, nella colonna “With the Clubmen”, riportava di getto come una nota effimera che “La Leggenda” aleggia intorno “al Manhattan Club… il primo a dar origine al Manhattan Cocktail”. Prendiamo inoltre in considerazione parte di un articolo pubblicato dal Galveston Daily News: “Il New York Club ha un cocktail peculiare che si compone del miglior brandy e di diversi tipi di bitter, lo si vuole sempre shakerato con ghiaccio, non mescolato. L’Amaranth Club ha un cocktail fatto con il seltz e il Manhattan Club ne ha inventato un altro”. L’articolo è stato pubblicato nel Settembre del 1873, non c’è nessuna garanzia che questa invenzione del Manhattan Club sia il drink che tutti noi conosciamo e amiamo, ma non c’è nemmeno modo per affermare il contrario. Se così fosse sarebbe straordinariamente presto per un cocktail miscelato con il vermouth, ci sarebbe voluto infatti quasi un decennio prima che questa pratica diventasse abituale.Sempre David Wondrich ci racconta che per la metà degli anni Ottanta del 1800 il Manhattan era già conosciuto. Infatti il 5 settembre del 1882 il drink compare per la prima volta sulla stampa nelle pagine dell’ “Olean (NY) Democrat”: “Non è da molto che una mistura di whiskey, vermouth e bitter è in voga”, annota la “New York Letter” del giornale, “È passato attraverso vari nomi – il cocktail Manhattan, il cocktail Turf Club e il cocktail Jockey Club. Inizialmente i barman erano perplessi per le richieste che gli venivano rivolte, ma ora sono pienamente coscienti dei diversi modi con cui veniva chiamato e non incontrano alcuna difficoltà”. Dopo poco tempo il Manhattan cocktail comincia a fare la sua comparsa anche su testi e ricettari di bartending che di seguito riporteremo per il valore storico/documentale che continuano ad avere per i professionisti del settore e per gli appassionati.Comepotete constatare la “Manhattanologia” è una materia abbastanza complessa ed in continua evoluzione con probabili nuove teorie che andranno a spostare i confini delle sue fonti. Tuttavia, prima di concludere, ci sembrava doveroso riportare una curiosità riguardo le tipologie di whiskey utilizzati in questo drink. A seguito di una consultazione, da parte di David Wondrich, risulta che su venti ricette del periodo preproibizionistico solo quattro specificavano quale tipo di whiskey doveva essere usato, e due di queste prevedevano il bourbon. Nel nord-est quel “whiskey” sarebbe generalmente inteso come rye, ma non sempre.
Di seguito elenchiamo tre differenti ricette del Manhattan pubblicate in alcuni autorevoli testi di mixologia di fine Ottocento.
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MANHATTAN
FORMULA # 1 (OLD STANDARD)
Usare un “large bar-glass”
due o tre dashes di Peruvian bitters
1/2 tsp di sciroppo di zucchero o gum syrup
4,5 cl di whiskey
4,5 cl di vermouth
riempire tre quarti di bicchiere con ghiaccio, mescolare con un cucchiaio, filtrare in un
“fancy cocktail glass” e servire.
Fonte: How to mix drinks – Bar keeper’s handbook, 1884.
“New York’s G. Winter Brewing Co.
FORMULA # 2 (REVERSE)
Usare a “small bar-glass)
1 tsp di orange curaçao o maraschino
3 cl. di rye whiskey
6 cl. di vermouth
3 dashes di boker’s bitter
Shakerare bene e filtrare in un “claret glass”. Mettere un quarto di fetta di limone nel
bicchiere e servire. Se il cliente gradisce un drink più dolce aggiungere anche 1 tsp di gum
syrup.
Fonte: Jerry Thomas’s bar-tender guide, 1887.
FORMULA # 3 (NEW STANDARD)
Mezzo tumbler riempito di ghiaccio tritato
1/2 tsp di gum syrup
2 dashes di angostura
1 dash di assenzio
6 cl di whiskey
3 cl di vermouth
1/4 tsp di maraschino può essere aggiunto
Mescolare bene, filtrare e servire.
Fonte: William “The only William” Schmidt, The flowing bowl, 1892.
Approfondimento curato da: “Symposium on Mixing” simposio permanente di storia della miscelazione con sede presso il Palazzo delle Misture dove è possibile richiedere la riproposizione di questi ed altri miscelati storici.
Gianluca Camazzola
Marta Cherubin
Tamara Fantinato
Alberto Franciosi
Articolo Scritto da Gianpaolo Giacobbo in collaborazione con “Symposium of Mixing”
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